Si vis pacem para bellum

Questo post potrà diventare tranquillamente un delirio senza senso, mentre lo scrivo. Prendetelo anche come un flusso di coscienza.

E’ un qualcosa che volevo scrivere, assolutamente senza scopo, forse da quando questo blog è stato aperto. O forse da prima. Da una vita.
Forse l’ho capito solo adesso, o anni fa.

Ogni persona che ho conosciuto, perlomeno quelle interessanti, che resistono come baluardi alla vuotezza della routine, al morire dell’abitudine e dell’abituarsi assisi sugli allori di un “in medio stat virtus”, hanno un fuoco, un interesse, un qualcosa che li spinge a sognare non appena si pronuncia una particolare parola, o si nomina un determinato argomento.
Credo sia qualcosa che definisce lo stesso spirito dell’uomo, quello spirito che ha portato l’umanità a crescere durante il suo cammino durato milioni di anni, ad autodistruggersi e a compiere imprese magnifiche, perlomeno viste dalla prospettiva di un singolo essere umano, nullità nell’immenso universo.

Pensateci, sono sicuro che anche voi avete un qualcosa che vi ha spinto, o che vorreste vi spingesse verso ciò che avete sempre sognato. E’ un discorso da idealista che non si coniuga affatto con la rudezza dei nostri tempi, della crisi che morde. E’ filosofia spiccia, ma negli ultimi tempi ci penso più che mai.

Credo di aver sempre cercato di fare il mio “dovere” al meglio, bene o male non lo so, ma l’impegno ce l’ho messo. A volte gettato in limbi che deviavano pesantemente dai miei sogni, trascinato dalla corrente per comodità, per non aver avuto coraggio, o visione a lungo termine.
L’esser felici nel fare il proprio dovere è diverso. E’ un sentimento intimo, una soddisfazione che non è conteggiabile, è qualcosa che ti fa sentire di aver riempito una casella nel puzzle immenso dell’universo. Un qualcosa che ti fa contrarre i muscoli del volto, quelli del sorriso, prima di addormentarti.
Dovere. Poi cos’è esattamente, questo dovere? Ciò che ti fa risultare accettato nella società, o ciò che tu ti senti di fare per contribuire, dire la tua, mettere la tua firma? Probabilmente un connubio di entrambe. Siamo noi a far pendere l’ago da una parte, o dall’altra.

Inseguire un sogno forse è proprio una corsa ad ostacoli modello Iron men, e il lieto fine ha una probabilità, diciamocela, bassa. Inoltre, vogliamo parlare delle casualità che possono in qualche modo interferire improvvisamente in questo inseguimento?
E’ dura, continuare ad inseguire. Le botte arrivano da ogni dove. Il vento ti soffia contro, ti rallenta. I miraggi ti fanno deviare dal sentiero, le opportunità appaiono come bivi, e inutilmente puoi cercare indicazioni sul cammino. E’ tutta una maledetta scoperta.

Una esplorazione.

Esplorazione non è un termine a caso, è proprio il fulcro di questo discorso.
L’incognito mi attrae, mi affascina, mi conturba in modo mostruoso, da quando sono senziente. Non riesco a fare a meno di dover nutrire il demone che risiede nella mia mente, un mostro famelico, assetato ed affamato di ciò che non ancora sa. La curiosità mi ammorba, e Dio solo sa quanto tempo ho perso nella mia vita cercando informazioni inutili. Questa è decisamente un’altra storia, anche se la curiosità è legata, credo, a doppio filo ad una delle mie passioni più vecchie.

Eh si, lo spazio, sempre e comunque lo spazio.

Galeotto fu l’atlante e chi me lo regalò, avevo dieci anni.

Lo aprii, e c’erano le immagini scattate dalle sonde Viking 1 e 2 sul suolo di Marte. L’orizzonte di un mondo alieno, lontano. E l’uomo era andato lì, con i suoi “occhi”. Violando la natura, violando le leggi naturali. Violando gli spazi limitati della sua culla, come diceva il buon Tsiolkovskij.

Marte, dal Viking

Le immagini sul suolo di Venere della sonda sovietica Venera che dopo un'ora fu schiacciata dall’enorme pressione della densa atmosfera venusiana. Ma l’avevamo mandata noi, impavidi, pur di ottenere un’idea di come fosse quel mondo infernale.

La superficie di Venere, dal lander della Venera-13


Urano, Nettuno, le foto del pazzesco Grand Tour della mitica Voyager 2. Immagini provenienti da reconditi posti, freddi, inospitali, misteriosi, mai visitati prima. Il sole laggiù appare come una stella un po’ più brillante delle altre. Le temperature, quasi allo zero assoluto.

Qualcosa dentro ribollì, si smosse.

Ciò che prima era limitato all’amore per la geografia, per le pagine oscure della storia dell’uomo esplose in n-dimensioni, per 15 miliardi di anni luce in modo isotropico.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende. […]
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, ch’ancor non m’abbandona.

Mi ci vuole Dante, che io non saprei descriverlo in modo diverso, il mio amore non umano.
Espandere i confini, le potenzialità. Per il gusto di conoscere e progredire. Arrivare dove nessuno si è mai immaginato di arrivare, un passo alla volta. Ciò che l’uomo ha sempre fatto, su scala espansa. Questo è l’alere flammam che agisce su di me per colpa dell’esplorazione spaziale. E’ uno iato terribile, e so di non sapergli resistere.
E nel contempo, bisogna vivere la vita di tutti i giorni, fare i conti con le scelte, il vivere comodi, ma anche felici. Potersi permettere degli obiettivi. Perché gli inseguimenti non li fai, se ti mancano le basi, giustamente. E non bisogna essere arroganti, solo determinati.

E’ pazzesco e mi fa impazzire come una delle più belle avventure dell’umanità, quella dell’esplorazione di tutto ciò che c’è al di fuori del nostro fragile pianeta azzurro, sia legata anche alla più tremenda delle attività umane, la guerra.

Il contrasto tra le due superpotenze dell’epoca, URSS e USA, diede il via alla Corsa allo Spazio dopo il secondo conflitto mondiale, in un fulgido ed incredibile dispiego di mezzi, talenti, visioni, per primeggiare nel campo che pareva essere la frontiera più estrema dove portar guerra.

Poi, per fortuna, la tensione si allentò, fino ad arrivare a quella stretta di mano tra astronauti che siglò un disgelo quantomeno simbolico tra i contendenti, che fu finalmente ufficiale nel 1995, quando l’URSS non c’era più e un boccaporto si aprì collegando la più prodigiosa delle macchine costruite dall’uomo, lo Space Shuttle, con l’ultimo baluardo sovietico nel cosmo, la Stazione Mir.

L'equipaggio della missione congiunta Apollo-Soyuz Test Project, 1975

...20 anni dopo, l'Atlantis agganciato alla Stazione Mir

Visto che mi perdo in chiacchiere quando si parla di spazio?

E se mi tocca riconoscere che è tramite la guerra che il mio settore d’elezione ha avuto il primo decisivo impulso per lo sviluppo, la prendo come manifestazione del destino. Un compromesso, al momento. Ma il mio tether regge ben saldo, e i miei sensori non perdono di vista l’obiettivo.


Tramite la guerra, che ripudio e mi fa ribrezzo, come purgatorio per tornare alle stelle. 

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