Di eroi romantici, destinati alla sconfitta

In una settimana stancante come quella appena passata che mi ha visto fare il pendolare come mai finora, bisogna ricavarsi un angolino proprio e fare di necessità virtù. Perciò ho sfruttato le lunghe ed interminabili ore di treno e pullman per ricominciare a leggere libri a pieno ritmo, e ne ho terminati due in due giorni mentre le montagne d'Abruzzo si tingevano di tutti i colori che un cielo può donare durante una giornata, come una contessa che cambia d'abito durante una serata di gala.
Perciò isolandomi nel mio cantuccio sul sedile, sono finalmente riuscito a terminare "A Feast for Crows", quarto libro di A Song of Ice and Fire di Martin, e ad iniziare e terminare in un giorno il classico "Il grande Gatsby" di Fitzgerald.



"A Feast for Crows" è considerato quasi unanimamente il punto più debole della saga finora, reo di esser lento, prolisso e non foriero di avvenimenti eclatanti come il suo predecessore. Forse le critiche che avevo letto prima di cominciarlo hanno imbonito il mio giudizio, ma io l'ho trovato ottimo ed al livello della saga; certo, la partenza è più in sordina e i personaggi sono perlopiù secondari ma l'approfondimento del cosiddetto "lore" ne trae assoluto giovamento. 


I capitoli con protagonista Brienne, la fanciulla guerriera sempre derisa per la sua bruttezza e la sua testardaggine a voler inseguire un modello di vita che anche nel finto medioevo immaginato da Martin è fortemente contrario al maschilismo imperante li ho trovati convincenti, al contrario del giudizio diffuso di noiosità. L'ambientazione tetra, col cielo perennemente plumbeo incombente su ruderi di castelli, campi e villaggi devastati dalla guerra, la natura selvaggia delle scogliere e dei boschi fitti in un panorama di desolazione risultano molto suggestivi e donano un tocco in più all'inutile pellegrinare della vergine guerriera. Un personaggio che non pensavo di apprezzare così tanto, nella sua triste determinazione e fermezza, già destinata al peggio e che fa il paio delle rivelazioni con Jaime Lannister, il classico bastardo che odi. Odiavi. Perché ora aspira ad entrare nella schiera degli idoli insieme al fratello.
Affascinanti i capitoli riguardanti Dorne, il Regno meridionale di Westeros, che fiero si mantiene distaccato dalle usanze e dalle tradizioni del resto del continente, e che non vuole sopire la fiamma d'orgoglio sancita dal motto della casa Martell, "Mai inchinati, mai piegati, mai spezzati". 
Uno dei molteplici colpi di scena che la parte finale del libro regala scaturiranno proprio tra le sabbie di Dorne. (I dorniani stanno scalando rapidamente la classifica delle mie case preferite!)
Cersei, l'algida regina reggente dei Sette Regni appare in tutta la sua "tenera" perfidia regalando un perfetto quadro di intrighi di corte, che culmineranno nel rush finale che lascia chiunque con l'amaro in bocca, pensando che Ciccio Martin è ancora impelagato nella scrittura del sesto tomo, che cronologicamente dovrebbe portare avanti questi eventi.
Comunque, giudizio positivo per questo capitolo un po' bistrattato a mio avviso senza motivo, se non quello di essere il seguito di "A Storm of Sword", un vero ottovolante di colpi di scena (e al cuore del lettore...).



"Il grande Gatsby" è...surreale, ed è incentrato sulla "caleidoscopica vacuità dell'essere" per utilizzare le parole di Marzia. Un quadro di inettitudine ai sentimenti, noia, superficialità e piattezza della provincia americana di inizio '900, che mi fa immediatamente pensare, neanche fossero opere nate l'una per l'altra, alle opere di un artista che adoro letteralmente, Edward Hopper. Contemporaneo di Fitzgerald, ma suppongo dallo stile di vita sostanzialmente diverso, egli dipingeva scene che dovevano risultare quotidiane nella provincia americana, ammantandole di una solitudine e di una freddezza pungenti e che a me trasmettono le sensazioni che non so come descrivere se non come quelle di un qualcuno triste in un noioso pomeriggio d'estate in un paese dell'entroterra semideserto.


Da wikipedia: 
La pittura di Hopper predilige architetture nel paesaggio, strade di città, interni di case, di uffici, di teatri e di locali. Le immagini hanno colori brillanti ma non trasmettono vivacità, gli spazi sono reali ma in essi c'è qualcosa di metafisico che comunica allo spettatore un forte senso di inquietudine. La scena è spesso deserta, immersa nel silenzio; raramente vi è più di una figura umana, e quando ve ne è più di una, sembra emergere una drammatica estraneità e incomunicabilità tra i soggetti. La direzione dei loro sguardi o i loro atteggiamenti spesso "escono dal confine del quadro", nel senso che si rivolgono a qualcosa che lo spettatore non vede. Di lui è stato detto che sapeva "dipingere il silenzio".

Particolare spazio nelle sue opere trovano le figure femminili. Cariche di significato simbolico, assorte nei loro pensieri, con lo sguardo perduto nel vuoto o nella lettura, si offrono spesso seminude ai raggi del sole trasmettendo solitudine, attesa, inaccessibilità. Una dimensione psicoanalitica che ha permesso di interpretare meglio le emozioni dell'artista.

E questa stessa descrizione a mio avviso calza benissimo anche ai personaggi del romanzo di Fitzgerald. Non c'è nulla da fare: tentando di visualizzare le fantastiche descrizioni (uno degli assoluti punti a favore del romanzo) mi vengono in mente i quadri di Hopper, e solo quelli. 
Non sono certo io a dover giudicare la qualità di un romanzo considerato ormai un classico, ma mi limiterò a dire che le vicende dei personaggi, così vuoti, superficiali, falsi e in balia del proprio destino e delle proprie ambizioni da esserne cechi, e la tenerezza ispiratami dal "povero" Gatsby non mi hanno lasciato indifferente. Jay alla fin fine mi ricorda uno di quegli eroi romantici, tormentati, testardi, cui tutto si rivolta contro perché il mondo sembra sempre doverli punire. La parola giusta è "tenerezza". Gatsby mi ispira tenerezza.
E sinceramente il film recente non l'ho visto, ma non avrei scelto Di Caprio per un ruolo simile, non mi rimanda alla mente l'immagine che mi sono creato dell'infelice di Long Island.
Penso che approfondirò la conoscenza di Fitzgerald con qualche altra sua opera.

Nota: spero di poter aggiornare questo sperduto e solitario angolo del web con maggior frequenza. Mi vengono in mente argomenti e post continuamente, e riesco a buttarne giù 1/20. Certo, non è che ci sono lettori scalpitanti che non aspettano altro che leggere le stupidate che dico, ma più che altro lo faccio per me, scrivo due righe su ciò che mi passa per la mente al momento, su qualcosa che mi ha colpito, e lo rileggo, per vedere se la penso ancora così. Pointless, ma vabbé.

Commenti

  1. Devo ammettere che anche io ho (di recente) "scoperto" la lettura in treno. Anche perché ogni volta con quasi sei ore di viaggio... :-|

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La lettura durante un viaggio lungo secondo me è uno dei piaceri della vita, ha una dimensione diversa! Le volte che so di dover prendere un mezzo mi premunisco sempre di libro/lettura, e sono felice! :)

      PS la prossima volta che scendete giù fatemi sapere, magari ci vediamo! :)

      Elimina
    2. Eravamo scesi il 31 ma non abbiamo fatto sapere nulla perché è stata veramente una corsa (siamo tornati a Pescara solo perché avevo bisogno di alcune cose).
      Penso che non se ne riparli fino alle vacanze di natale :-)

      Elimina

Posta un commento

Post più popolari