Il lavoro nobilita l'uomo?

L'altro ieri è stato lanciato Sentinel-3A, un satellite che, operando in costellazione con altri suoi "gemelli" chiamata Copernicus, si occuperà di monitorare lo stato di salute del nostro fragile pianeta, tenendo d'occhio i mari, i ghiacci, l'atmosfera e la terra per cercare di fornirci uno sguardo d'insieme ai cambiamenti globali dell'ambiente in cui viviamo.



Ora, a bordo di questo satellite c'è uno strumento molto complicato ed ingegneristicamente molto affascinante chiamato SLSTR, che sostanzialmente si occupa di misurare la temperatura di mari e terre con una accuratezza pazzesca, 0.3 gradi Kelvin.

Non voglio soffermarmi sulla complessità di questo oggetto, ma si da il caso che tale strumento sia stato progettato e realizzato nell'esatto posto dove lavoro io, solo qualche corridoio più in là. 
Lì dove sono nati una quantità di strumenti incredibile che ora sono sparsi per tutto il Sistema Solare e hanno aiutato l'umanità ad esplorare Saturno, Giove, Plutone, Marte, Mercurio, la Luna...e volete sapere anche quanta gente lo sa?
O quanta ne prova orgoglio?
Ve lo devo proprio dire?
Un numero scandalosamente piccolo.
Purtroppo mi rendo conto che un altro ingrediente fondamentale che ci manca per fare un salto di qualità è l'essere orgogliosi del proprio lavoro. E coloro che ci precedono, che hanno esperienza e che dovrebbero insegnarci anche questi concetti, oltre che quelli prettamente tecnici, molte volte per noia, per pigrizia o per semplice disamoramento, in questo falliscono gravemente.

Incontrare qualcuno che ama ciò che fa ogni giorno è sempre più raro, vuoi perché non di solo amore si può vivere, vuoi perché anni di crisi ci hanno piegati ad accettare ciò che arriva chinando il capo e voltando le spalle al nostro sogno, se lo abbiamo, sacrificandolo sull'altare della chimera del posto fisso all'italiana. Però guardare la luce negli occhi di una persona che fa ciò che ama, che si diverte nel raccontarlo, nello spiegarlo a chi non ne sa nulla, è bellissimo e ti fa capire che quelle otto ore e spesso più che si passano al lavoro devono avere un senso.

Perché, mi chiedo io, bisogna ascoltare nient'altro che polemica continua, perché invece non si dice un semplice "grazie" che fa moltissimo, perché non si investe del tempo a spiegare alle persone le ragioni profonde di ciò che si fa, non si crea coinvolgimento, squadra, team?

Io sto esagerando, perché queste realtà ci sono, e forse il trauma di passare dal lavoro dei miei sogni al sognarlo e inseguirlo da lontano, con affanno e speranze continuamente frustrate non ancora lo assorbo, ma mi dispiace da matti vedere persone che diventano calve su progetti complicati come quelli che riguardano l'ingegneria (parlo del mio campo perché è quello che conosco, ma sono sicuro che sia così ovunque), e non tentare neanche un pochino di capire perché lo fanno e quale sia lo scopo o l'utilizzo finale.

E sapete cosa?
Il primo bersaglio di questa critica sono proprio io.
Scendo da quel piedistallo eburneo dal quale lanciavo strali poco fa, perché ho la coscienza sporca.
Purtroppo è orribile non riuscire ad appassionarsi a quello che fai nella maggior parte del tempo della giornata.
La mia mente vaga, e vaga e vaga.

Non accontentatevi, provateci. Uso il plurale, ma lo dico a me stesso.


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